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Educare al problem-solving

L’importanza del ragionamento matematico per risolvere problemi nella vita quotidiana.

Mi ritrovo molto spesso a dover rispondere alla stessa domanda da parte di diversi studenti : “A cosa serve la matematica? Di sicuro non dovrò risolvere un’equazione (o peggio ancora un limite o una derivata) per fare la spesa!”.

Il concetto di utilità è quindi il fulcro del quesito, evidentemente correlato alle pratiche didattiche messe in atto dai docenti: l’approccio tradizionale infatti pone l’accento sull’insegnamento/apprendimento di leggi, regole e tecniche, per cui agli alunni è affidato il compito di imparare e ripetere quanto appreso. Come è ormai noto, tale modalità ha l’effetto di promuovere un atteggiamento passivo e una disaffezione nei confronti della matematica: lo studente impara, o meglio “si addestra” a risolvere esercizi del tutto simili a quelli trattati dall’insegnante, ragionevolmente convinto che su quelli sarà valutato.

In una scuola come quella italiana, soggetta a numerose riforme ma ancora legata ad un’idea tradizionale della didattica, gli studenti italiani ricevono una scarsa educazione al problem solving, una scarsa educazione cioè a fronteggiare situazioni problematiche nuove. È quindi plausibile che l’uguaglianza “matematica = utilità” derivi parzialmente da un insegnamento/apprendimento influenzato da diverse misconcezioni circa il ruolo educativo di tale disciplina.

Problem-based learning

Il problem-based learning (PBL), ovvero apprendimento basato su un problema, è un metodo di insegnamento centrato sull’allievo, il cui punto di partenza è un quesito che i discenti devono risolvere. Tale metodologia prevede la divisione degli studenti in piccoli gruppi,  guidati da un insegnante-tutor, il quale propone problemi realistici ma incompleti, con l’obiettivo di motivare la discussione all’interno del gruppo e, successivamente, ricercare individualmente le informazioni necessarie per risolvere il problema affrontato. L’insegnante dunque non riveste il ruolo di dispensatore di conoscenze, quanto piuttosto quello di facilitatore, con il compito di rivolgere agli allievi domande ben precise, senza fornire mai in modo diretto informazioni per risolvere il problema.

Il modello a cui fa riferimento il PBL è il costruttivismo, il quale prevede che siano gli alunni stessi a scoprire, o meglio a formulare ipotesi sulle leggi e le regole che possono descrivere e trattare un fenomeno. Tale teoria promuove atteggiamenti metacognitivi ed autovalutativi e induce a riflettere sui propri comportamenti e le proprie competenze.

I principi fondanti dell’approccio costruttivista sono tre:

  1. Lʼapprendimento è un processo costruttivo e non più recettivo, per cui le nuove conoscenze si sistemano in reti semantiche ancorate su conoscenze pregresse,
  2. La metacognizione influenza lʼapprendimento, ovvero è di fondamentale importanza imparare a porsi domande, obiettivi, individuare e scegliere strategie e valutarne lʼefficacia,
  3. I fattori sociali e contestuali influenzano lʼapprendimento.

I problemi da analizzare devono consistere in una neutrale descrizione di un evento o un insieme di fenomeni che necessitano una spiegazione, non necessariamente univoca, in termini di processi; devono essere formulati nella maniera più concreta possibile e avere un grado di complessità adatta alle conoscenze pregresse degli studenti.

Nellʼapprendimento per problemi il ruolo degli studenti è attivo, in quanto essi imparano a discutere una problematica e ad ascoltarsi lʼun lʼaltro, insieme alla guida dell’insegnante-tutor. Inoltre formulano ipotesi, attivano le loro conoscenze pregresse, individuano gli obiettivi dello studio indipendente, sintetizzano ai compagni ciò che hanno trovato individualmente, valutano il proprio operato e quello altrui, esprimono giudizi sulla complessità o meno del problema e hanno la responsabilità per la riuscita di un buon lavoro.

Un ampio insieme di ricerche sul campo hanno dimostrato che gli allievi rispondono positivamente a questo approccio e che ne traggono vantaggi significativi,tra cui un migliore mantenimento delle conoscenze nel tempo, un migliore trasferimento delle conoscenze ad altre problematiche, un aumento delle capacità di ricerca di informazioni, comunicazione in gruppo,e principalmente un aumento della motivazione e dell’interesse. All’interno di un ambiente di tipo problem-based le tecnologie informatiche giocano un ruolo importante in quanto possono essere utilizzate per diverse finalità: presentare il problema in modo realistico e coinvolgente, supportare la ricerca e l’organizzazione delle informazioni, consentire la creazione di simulazioni per trasformare le ipotesi espresse in linguaggio comune in modelli formalizzati e per rendere espliciti i modelli mentali con cui ciascuno si rappresenta il problema, e infine favorire la comunicazione di gruppo.

Il PBL può essere applicato in ogni ordine e grado di scuola, avendo ben presente lo sviluppo delle abilità cognitive degli allievi di una particolare età.

L’apprendimento di qualsiasi concetto, non esclusivamente scolastico, inizia nel momento in cui è necessaria la risoluzione di una situazione problematica: tale passaggio implica l’acquisizione di nuove competenze per giungere alla soluzione, sviluppando e ampliando le abilità di pensiero critico, secondo i ritmi personali di ciascun individuo.

Il fine ultimo dell’insegnamento matematico non dovrebbe essere quello di evitare l’errore o terminare l’esercizio utilizzando regole già apprese, quanto invece formare il pensiero logico orientato alla risoluzione di problemi, e quindi allo sviluppo di capacità critiche e decisionali.

“L’obiettivo è di insegnare in modo tale da offrire il maggiore apprendimento col minimo di insegnamento. […] L’altro fondamentale cambiamento necessario rispecchia un proverbio africano: se un uomo ha fame gli puoi dare un pesce, ma meglio ancora è dargli una lenza e insegnargli a pescare”.          
Seymour Papert

Articolo redatto da Alessandra Sismo, tutor dell’apprendimento e insegnante di matematica

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