Le parole pronunciate da Francesca Maraventano (Circolo la Fattoria) durante l’evento finale di ComBo Comunità Educanti Bologna / 25/01/2025
Sul sito di Archilabò, sulla pagina dedicata al progetto Combo una frase di incipit recita così:
La piattaforma porta avanti un lavoro di confronto, formazione e auto- formazione, che rafforza le alleanze esistenti, allarga la basepartecipativa, innova le pratiche e promuove un nuovo sistema di
welfare basato sulla comunità per contrastare la disuguaglianza e la povertà educativa, creando un sistema capillare e gratuito di opportunità accessibili, inclusive, solidali.
Ci siamo trovate, meravigliose donne, dirigenti e non di enti del terzo settore, meravigliosi membri di un tessuto professionale che si diverte a complicarsi la vita per provare a far funzionare piccolissimi, a volte quasi impercettibili, pezzi di mondo.
Ci siamo guardate in faccia e senza il tempo di prendere il primo respiro abbiamo subito colto chi ci stava di fronte.
Qualcuna aveva già attraversato la vita di qualcun’altra, in qualche altro progetto, in qualche attività, in qualche luogo bolognese.
Ci siamo respirate e abbiamo capito l’intenzione.
Come stai? Stanca, di corsa, arrabbiata, non arrivano i soldi, non rispondono al telefono.
Che fai? Riunioni, cerco fondi.
Osservo, agisco, perché sono un presidio territoriale, perché anche se non arrivano i soldi loro hanno bisogni importanti ed il nostro lavoro è riuscire ad occuparcene, il meglio possibile.
Ci siamo respirate e abbiamo capito chi siamo, siamo comunità educante
Abbiamo un perenne senso dell’abbandono, che non racconta la nostra storia personale, non ha bisogno di un terapeuta per essere risolto, non è un trauma, è la nostra quotidianità.
Cosa è una comunità educante, come dialoga, come collabora, ci sono gerarchie nella comunità educante? Ci sono idee migliori o peggiori? Come dovrebbe sistematizzarsi una comunità educante per essere efficace sulla comunità?
Abbiamo dedicato dei momenti a raccontarci, li abbiamo chiamati piattaforma.
Ogni ente partner ha raccontato di sé.
La sua nascita, la sua evoluzione, i suoi progetti, le sue relazioni con la pubblica amministrazione, perché si sa, senza la PA il terzo settore non esiste, senza il terzo settore, si sa, la PA crollerebbe.
Abbiamo scoperto che spesso ci sentiamo sole, ricoperte di cose da fare, perennemente sull’emergenza, perennemente a contare i soldi del salvadanaio.
Questo senso di solitudine spesso è ampliato da tutto il brutto che vediamo nel nostro lavoro.
Lavoriamo con gli ultimi, coi fragili (perdonatemi se non uso tutti i generi, ma non ho tanto tempo per raccontare).
Ci occupiamo della comunità, siamo cittadinanza attiva, rappresentiamo, educhiamo formalmente, informalmente, non formalmente, attraverso le esperienze in indoor, in outdoor, ci inventiamo figure retoriche inesistenti per riuscire a trovare modi.
Usiamo chat gpt per accorciare i testi dei bandi, a volte unica nostra fonte di sostentamento, per velocizzare, non che ci piaccia l’intelligenza artificiale, ma non abbiamo tempo da perdere.
Guardandoci negli occhi, ascoltandoci, osservandoci, abbiamo iniziato ad amarci, nelle nostre diversità, nelle nostre unicità e nelle nostre competenze.
Abbiamo sentito meno la solitudine, ci siamo indignate capendo che i problemi erano gli stessi, e che spesso la fatica ad essere ascoltate da chi di dovere era la medesima. Basta guardare la carrellata di foto sul sito di Archilabò: pian piano siam passate da aule, tavoli e sedie fino a sdraiarci su un prato insieme per raccontarci e sentirci.
In questo percorso è successo un po’ di tutto: è accaduto che qualche uomo bianco cisgender ci facesse un po’ di paternale, che qualche membro della PA ci esortasse a cambiare direzione perché troppo delicata quella intrapresa, ci è capitato di sentirci fortissime condividendo anche esperienze extra regionali.
Siamo state e siamo comunità.
Ogni mattina qui arrivando potrete fare colazione.
Che cosa intima la colazione.
Tocciare il cornetto nel cappuccino con degli sconosciuti ti rende parte.
Siamo noi, siamo comunità e non siamo più così sole come prima.
Abbiamo capito, ma in realtà lo sapevamo già, che la prima comunità a dover essere educata è la comunità educante.
Abbiamo capito che in questa comunità non ci devono essere gerarchie, ma possibilità, orizzontalità, opportunità.
In questa comunità vanno considerate le competenze, i risultati, i valori, le missioni.
Abbiamo capito che non possiamo fare a meno di continuare ad osservare e ad agire.
In questo mondo, che forse è all’inizio di una fine, dobbiamo imparare di nuovo a lottare, dobbiamo dire alle persone che devono lottare.
La lotta per un mondo migliore è educazione.
La comunità educante deve prendersi, tutta, le sue enormi responsabilità.
Dobbiamo avere tutte e tutti le stesse opportunità, e per quanto ci sembri impossibile, e per quanto sia quasi un desiderio idilliaco, credo che si debba tendere il più possibile alla perfezione.
Credo, ad esempio, che bisbigliare all’orecchio di un adolescente che se lo desidera c’è anche un’altra strada, non sia la soluzione, ma una possibilità in più, per l’adolescente e per la comunità educante.
Credo che al di là dei numeri, si debba ricordare la qualità. Se ne raggiungo uno, bene, allora devo andare a letto serena.
Uno io, uno te, tanti voi, abbiamo fatto mille, e di mille in mille, la comunità educante potrà dire: ce l’abbiamo fatta, insieme. Attraverso il gioco, la lettura, la danza, il digitale, attraverso gli alberi o le capre, l’architettura, la bici, il teatro, la costruzione.
Non c’è un modo, ci sono tanti modi, e questo mi fa sentire meno sola.