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“Come l’aratro in mezzo alla maggese” ovvero la solitudine dell’umanesimo

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
 (Lavandare, G. Pascoli)

Pascoli di solitudine
– potrebbe essere l’inizio di una nuova poesia e invece no –
Pascoli di solitudine sapeva parlare benissimo: abbandono di una persona, di un movimento o di un’idea.

L’Umanesimo, per esempio, io me lo immagino lì, in questo campo brizzolato e triste, ad aspettare che ritorni l’Uomo partito per un altrove fatto di scienza, di tecnica, d’economia, d’utilitarismo, d’efficienza.

Deficienza! – quindi mancanza (e qui ci si riallaccia all’abbandono, alla solitudine, alla nostalgia) di un sensato eclettismo interpretativo a favore di tagli chirurgici in seno al sapere: da una parte utili discipline scientifiche, dall’altra innocue discipline umanistiche prive di effetto sul reale. Surreale!

Di qui una serie di miopi e diffusi discorsi intergenerazionali quali «la matematica serve, la filosofia no», «sono meglio le facoltà scientifiche»,«perché studiare le lingue morte?».

Già, perché? Come osserva Semir Zeki – neuroscienziato dell’University College di Londra – «il cervello non distingue tra cultura umanistica e scientifica». Allora smettiamola di concentrarci su un pensiero d’utile e iniziamo ad articolare un pensiero duttile (e perché no dilettevole).

Ridiamo al pensiero plasticità, rendiamolo plastico (anche se paradossalmente faticheremo di più a rappresentarlo); torniamo a conoscere, dunque riconosciamo, che gli studi umanistici sono fortemente connessi con la storia, la politica e l’economia perché forniscono strumenti per interpretare, discutere e ripensare mercificate e acritiche versioni del mondo e della sua storia o meglio dei mondi e delle loro molteplici narrazioni.

Il rigor – mortis va bene, ma pur sempre rigore – delle lingue classiche, la capacità di articolare compiutamente il pensiero nella complessità di un linguaggio, il procedimento euristico che guida lo studente nella comprensione di un testo e dei suoi dettagli, l’interesse per il nuovo e per l’innovazione insito nell’umanesimo assicurano all’individuo lo sviluppo di competenze trasversali, proficue nel mondo del lavoro e necessarie per la partecipazione democratica.

Il mondo del lavoro pare essersene accorto e, non a corto di idee, realizza corsi in partnership con le Università (es. iOS Foundation Program ) per rendere «umanesimo e tecnologia strumenti complementari di divulgazione, di studio e di conoscenza. Il motore di un nuovo rinascimento».

Per quel che riguarda la partecipazione democratica, invece, ricorro all’ipse dixit e quindi E.W. Said (professore di inglese e letterature comparate – Columbia University):

comprendere cosa sia l’umanesimo significa intenderlo come democratico, aperto a tutte le classi e a tutte le provenienze, e come un processo di rivelazione e scoperta senza fine, un processo di autocritica e di liberazione. L’umanesimo è critica, critica diretta dello stato attuale delle cose, e trae la sua forza e la sua rilevanza dal proprio carattere democratico, secolare e aperto.

Rifuggiamo allora il rischio di confinarlo entro elitari club della conoscenza e con coscienza ridiamo – dunque allegramente restituiamo – valore alle discipline umanistiche, alla loro capacità di dotarci di una mente logica, plastica e vigile, indispensabile nel dialogo con le strutture politiche ed economiche.

Dissolviamo infine questo problema difficile da liquidare perché senza soluzione di continuità: le discipline umanistiche e scientifiche non sono una dicotomia. Infatti dico -tomìa – divisione – solo per negarla e per riattribuire all’uomo fluida complessità, nella speranza che il sistema educativo faccia altrettanto.

L’Umanesimo
– quel campo brizzolato e triste – è in attesa che ritorni l’Uomo
duttile, critico, plastico,
a tutto tondo.
(e se questo è un Uomo per Primo si eLevi)

Per approfondire:

E.Garin (a cura di), L’uomo del rinascimento, Laterza, Bari, 1988.

E.W. Said, Umanesimo e critica democratica, Il Saggiatore, Milano, 2007.

Il Sole 24 ore: in difesa del liceo classico.

Il Sole 24 ore: perché la versione serve a un fisico.

La Repubblica: Virgilio cento metri da record.

Università di Padova: il mondo globalizzato ha bisogno di umanisti.

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