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Benvenuti al Rodari Club – sportiva associazione d’idee per una didattica creativa e innovativa.

La persistenza di un insegnamento trasmissivo è per me un grosso e stretto nodulo al senso.

Forse per l’immagine mentale che vi associo: studenti-vaso riempiti di buone nozioni in quantità e modalità rigidamente stabilite dai loro insegnanti-simposiarchi.

A pensarci bene anche la necessità di recuperare le difficoltà viene verbalizzata con un metaforico “colmare le lacune”, marca semantica che rinvia allo stesso atto depresso di apprendimento/riempimento.

Ora, a lasciarmi basita non è tanto la natura deduttiva e formale del modello, scandito dalla triade lezione frontale-studio sul testo-verifica, ma il focus posto sull’insegnante (detta all’italiana teaching centred).

Chiaramoci: il professore è evidentemente una figura centrale, ma dovrebbe avere un ruolo diverso: non depositario di un sapere universale trasmesso indipendentemente da contesto e caratteristiche degli studenti, ma catalizzatore dei processi di apprendimento.

In linea di massima i catalizzatori velocizzano una reazione chimica permettendo alle molecole di reagire utilizzando una via diversa.

Allo stesso modo il professore dovrebbe facilitare l’apprendimento, rinunciando a trasmettere esclusivamente il “sapere cosa apprendere” e scegliendo di insegnare il “sapere come apprendere” e superare le difficoltà.

Comunque, ritornando agli studenti-vaso pensavo: “se proprio devono essere vasi, non potremmo almeno renderli comunicanti”?

Creando tra loro un collegamento, pur nelle loro diversità, sarebbe possibile far sì che i contenuti giungano allo stesso livello.

Servirebbe, però, una piccola rivoluzione data dallo spostamento di focus sullo studente (sempre all’italiana modello learning centred): al centro l’alunno con il proprio background, la propria esperienza e la propria capacità interpretativa del reale che lo portano alla conoscenza.

Ma se i vasi sono comunicanti possono condividere e negoziare significati, con tutta l’opportuna e costruttiva gestione della frustrazione che ne consegue.

I vasi comunicanti volgono in comunità di interpreti che riunisce, grazie al confronto, prospettive diverse per restituire ad ognuno la propria realtà integrata.

E se poi questi studenti-vasi-comunicanti divenissero solo comunicanti?

No, non candidi gruppi in procinto di celebrare una Santa Comunione, ma persone in grado di fruire allo scopo di legare assieme (cum munire) idee in pensieri e condividerli con gli altri magari attraverso forme testuali e canali diversi.

Rivoluzionare la didattica però – lo ammetto – non è semplice perché richiede:

Ed eccoci così alle nuove tecnologie, che nella didattica edulcolorano in TIC TAC:

  • gli insegnanti producono contenuti, condividono materiali con la classe, interagiscono rapidamente con gli studenti e le loro famiglie educandoli alla contemporaneità;
  • gli alunni ritrovano in aula mezzi d’espressione familiari e per questo motivanti.
  • tempo per la riorganizzazione (dalla progettazione delle lezioni all’apprendimento delle competenze necessarie a cambiare l’insegnamento) con conseguente aumento del carico di lavoro;
  • il ripensamento del sistema di valutazione;
  • la collaborazione delle famiglie;
  • fiducia nell’esperienza maturata in altri sistemi scolastici.

Ah, nel bugiardino (cui tuttavia prestiamo fede) si legge che potrebbe comparire anche la tremenda sensazione di perdere il controllo sulla classe: dunque non più vasi, ma invasati?

Le indicazioni o contro-controindicazioni segnalano, però, i seguenti aspetti positivi di una didattica innovativa:

  • personalizzazione degli interventi formativi utile a offrire a ogni studente, non solo a quelli con BES, percorsi stimolanti e motivanti;
  • sviluppo di competenze trasversali;
  • creazione di fluida continuità tra vita scolastica ed extra-scolastica, quindi il superamento del digital divide tra casa e scuola;
  • promozione di un apprendimento attivo e creativo, basato sugli interessi dell’individuo; questo perché, per dirla con Tullio de Mauro che la diceva con Vico, “non c’è verum se non siamo noi a costruirlo e a farne un factum”.

Insomma, niente di nuovo sul fronte occidentale.

E fu così che per innovare la didattica torneremo a Socrate.

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