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Settembre 2020: quale scuola?

Covid-19 ha portato la scuola italiana ad adottare, in modo diffuso e un po’ destrutturato, la Didattica a Distanza (DaD). Impresa non facile, ricca di potenzialità – la personalizzazione dei percorsi apprenditivi per esempio – e ostacolata da problematiche non risolvibili online – bisogni educativi speciali, vecchi e nuovi, che non trovano risposta nella relazione a distanza-.

Questa l’apertura del post che ho scritto qualche settimana fa sul blog di Archilabò in continuità con il post della mia collega Sara Casale dedicato alla DaD. 

Oggi, a vacanze scolastiche iniziate, possiamo chiederci cosa rimarrà della DaD (che non credo sparirà) e come sarà la scuola italiana a settembre 2020.

Dal mio punto di vista la DaD nella sua fragilità ha portato maggior consapevolezza di ciò che alla scuola serve:

Maggiori investimenti: il 7,9% della spesa pubblica non è evidentemente sufficiente e ci colloca all’ultimo posto dei membri UE in graduatoria (Fonte Eurostat). Conseguenza positiva del Covid sarà, si auspica, l’aumento degli investimenti nella scuola pubblica. 

Nuove tecnologie: la DaD ha mostrato quanto l’Italia sia ancora disconessa e quanto profondo sia il digital divide nel paese e all’interno delle scuole. Non solo, ha mostrato che la tecnologia non è un’opzione rifiutabile, ma uno strumento abilitante che bisogna saper usare e integrare in una suite di strumenti e metodologie funzionale al processo di insegnamento/apprendimento. 

Sviluppo o affinamento di competenze informatiche digitali: la DaD ha costretto anche il più analogico degli insegnanti a sperimentare le nuove tecnologie in un rapido e intensivo corso di formazione (legge del contrappasso?); parallelamente ha mostrato ai nativi digitali di non avere eccellenti competenze di cittadinanza digitale (es. il copia-incolla selvaggio durante la verifica non paga ed è pure un reato…). Da qui dovremo ripartire!

Lavoro di rete: insegnanti, genitori, studenti, educatori, figure sanitarie, tutor devono dialogare tra loro e co-progettare il percorso di apprendimento dello studente, soprattutto in presenza di un particolare BES. La DaD ha “costretto” la comunità a divenire collaborativa, a beneficio di tutti.

Progettazione e strutturazione dell’intervento didattico: la DaD ha portato docenti, anche di lunga data, a fermarsi e a ripensare alla struttura della lezione non solo a livello didattico, ma anche a livello socio-relazionale. Il tutto a vantaggio degli studenti più fragili che beneficiano di una scansione chiara ed esplicita dei differenti momenti della lezione. Inoltre, la DaD è stata efficace quando è stata progettata come lezione online: tempi più brevi, costruzione di learning object ergonomici, multimodalità. È dunque davvero sempre importante riflettere sul mezzo, sul contenuto e sulla modalità didattica scelta. Dispiace però che, in molti consigli di classe, non ci sia stata una co-progettazione dell’ambiente di apprendimento: i singoli insegnanti hanno scelto piattaforme diverse penalizzando la fluidità e l’organicità del processo. Questo avveniva anche in presenza. L’evidente fatica documentata da famiglie e studenti in questo momento potrebbe portare gli insegnanti a co-progettare gli interventi formativo-educativi, a prescindere dai metri di distanza. .  

Integrazione di linguaggi e metodologie diversi per rispondere ai molteplici stili cognitivi presenti in aula e proporre efficacemente i differenti contenuti didattici. La DaD ha evidenziato che il libro cartaceo da solo non basta, sarebbe utile bilanciare il rapporto tra i linguaggi visivi/audio-visivi e il verbale.

Relazione: la DaD ha dimostrato, se mai ce ne fosse bisogno, che non è possibile apprendere se non si è in relazione e in uno stato psico-emotivo disteso. Ricordiamocelo in aula.

Inclusione: qui il presupposto deve essere educare all’inclusione e dunque un progetto profondo, possibile solo grazie alla rete e vano se limitato a PEI e PDP. Inoltre, la situazione emergenziale ha reso più comprensibile il significato autentico di Bisogno Educativo Speciale, per il quale tutti possiamo improvvisamente ritrovarci in una condizione di non equilibrio psico-fisico che ostacola il nostro apprendimento. Tutti, quindi, possiamo aver bisogno di un PDP e la personalizzazione viene facilitata dall’avveduto impiego delle tecnologie. 

Personalizzazione: la didattica online ha potenziato la possibilità di personalizzazione degli interventi, favorendo sia gli alunni con difficoltà o disturbi di apprendimento che gli studenti studiosi o con alto potenziale cognitivo. 

Welfare: il Covid e poi la DaD hanno evidenziato la debolezza del welfare italiano, costituito fondamentalmente dalla scuola e dai nonni. Venuti meno questi, il sistema è crollato generando tensioni sociali e un accresciuto senso di fragilità del diritto al lavoro, soprattutto per quanto riguarda il genere femminile. La colpa però non è degli insegnanti. 

Apertura e alleanze con gli altri enti del territorio per integrare le competenze e rispondere alla complessità dei bisogni educativi presenti nelle aule e, almeno nell’immediato, alla fragilità del welfare e alla precarietà del diritto al lavoro.

I docenti che si sono fermati a pensare hanno sicuramente acquisito piena consapevolezza di questo e altro suppongo (la mia è sicuramente un’analisi imperfetta). Il punto però ora è: tale consapevolezza diventerà rigenerativa? Ricorreremo alla nostra natura ontologicamente metamorfica per divenire altro? Trasformeremo la scuola in un melting pot di metodologie, strumenti, attori, linguaggi, conoscenze, competenze e bisogni soddisfatti? 

Perché io la scuola di settembre la immagino così: virtuosamente #blended e proattivamente ereditiera di ogni punto sopra analizzato

Le basi per questa trasformazione le abbiamo messe da un po’… gli auspicati investimenti e questa nuova diffusa consapevolezza potrebbero davvero fare la differenza aggiungendo valore.

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